venerdì 22 Novembre 2024

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Leo Gassmann: “Mai accontentarsi, mai accettare compromessi” – INTERVISTA

A tu per tu con il giovane cantautore romano classe ’98, in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo “Down

A un anno e mezzo di distanza dalla precedente chiacchierata realizzata in occasione della sua partecipazione sanremese, ritroviamo con piacere Leo Gassmann per parlare di “Down”, brano rilasciato lo scorso 28 giugno, primo tassello discografico dopo l’uscita del suo album Strike. Prodotto da Francesco “Katoo” Catitti, il pezzo ci mostra un lato inedito del giovane artista romano, che sperimenta l’autotune e spazia in una dimensione vicina al punk-rock. Lo abbiamo incontrato per voi su Zoom, per approfondire la sua personale e ispirata visione di vita e di musica.

Ciao Leo, bentrovato. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Down”, lo consideri l’inizio di un nuovo corso oppure la prosecuzione ideale di tutto ciò che hai fatto finora?

«Preferisco considerarlo più come un’evoluzione, perchè crescere è stimolante e, soprattutto, non mi piace ripetermi attraverso la musica. In questo momento mi sto dirigendo verso atmosfere punk-rock, ma anche alternative pop, nonostante non abbia ancora fatto ascoltare altre cose che bollono in pentola. Ho dedicato del tempo per esplorare il tipo di arte che desideravo approfondire e sono felice di essere uscito con questo brano, perchè possiede delle sonorità che non si sentivano da tempo, almeno in Italia, un genere con il quale sono cresciuto e che sta riprendendo piede in Inghilterra e in America, vedi Machine Gun Kelly e Yungblud, artisti che stimo moltissimo, che sono riusciti a combinare e attualizzare questo stile musicale».

Quindi, alla fine, la pensi un po’ come i Måneskin? Rock’n’roll never die…

«Sì, assolutamente. Diciamo che i Måneskin sono molto più avanti di me nel percorso, la loro evoluzione è stata incredibile, si sono trovati nel posto giusto al momento giusto, sfruttando al meglio l’occasione. Sono molto orgoglioso di essere stato rappresentato da loro all’Eurovision, questa vittoria è la dimostrazione che tutta la musica suonata può ancora funzionare. Sono felice di questo, non solo per me, ma anche per tutti quei ragazzi che possono avvicinarsi agli strumenti, a quel modo di condividere la musica in compagnia dei propri amici, confrontandosi e scambiando idee».

Quali sono questi demoni che hai accolto nella tua vita? Questi mostri di cui parli nella canzone?

«Sai, quando ti capita di restare chiuso in casa come durante il lockdown, penso che tutti quanti abbiamo avuto dei momenti di down. Personalmente venivo da un periodo molto felice come quello di Sanremo, un percorso in salita, per certi versi anche molto faticoso. Quando ti fermi è ovvio che ti metti a pensare alle tue paure, a ciò che non va bene, qualsiasi pensiero negativo si amplifica e ti soffoca. Da questa esperienza ho imparato che questi mostri non possono essere cancellati, li dobbiamo accogliere e trasformarli il più possibile in punti di forza, per andare avanti e farci trovare preparati nel momento in cui si ripresenteranno in futuro situazioni di difficoltà».

In questi mesi ho letto delle tue dichiarazioni in cui parlavi di porte in faccia e di come, solo successivamente, ti sei reso conto dell’aspetto positivo, ovvero aver avuto più tempo per lavorare alla tua musica. Pensi anche tu che ci sia troppa fretta in giro? Un voler battere a tutti i costi il famoso ferro finché è caldo…

«Sì, penso che questo sia dovuto alla società nella quale viviamo, perchè i social media ci abituano a questa immediatezza, al voler raggiungere il prima possibile la vetta della montagna. Questo spinge le persone a voler bruciare le tappe, ma per qualsiasi cosa ci vuole il suo tempo, altrimenti non si può fare pensare di poter fare la differenza. Penso che la bellezza del raggiungere un determinato obiettivo stia anche e soprattutto nel percorso, quella sensazione di attesa che ci fa sentire vivi. A Sanremo mi sono goduto ogni singolo minuto e ogni singolo incontro, alla fine è questo che mi rimane oggi, un meraviglioso ricordo di una splendida esperienza».

Down” non è di certo il primo brano terapeutico che componi, già “Vai bene così” era un’infusione di positività. In un momento storico come questo, in cui non proprio tutte le canzoni tendono a trasmettere messaggi positivi, la consideri un po’ una missione quella di realizzare canzoni catartiche, sia per te stesso che per il pubblico?

«L’obiettivo principale della mia musica è proprio questo: portare un po’ di gioia e di ottimismo nei cuori delle persone, perchè a volte ho faticato io stesso ad individuare un faro che potesse guidarmi, dalla quale poter prendere esempio. Nella società di oggi si tende a sopprimere gli esempi positivi e dare spazio a messaggi talvolta negativi, che ti portano semplicemente a stare male, forse perchè stiamo assistendo ad una saturazione delle tematiche e dei concetti. Ciò che cerco di fare con la mia musica è provare a donare un po’ della fortuna che ho avuto nella vita, perchè alla fine facciamo tutti parte di una grande famiglia che lotta per gli stessi obiettivi».

Di questo pezzo mi ha ha molto colpito l’utilizzo intelligente che fai dell’autotune. Non è presente dall’inizio alla fine, e soprattutto, non ti storpia la voce e non copre la tua personalità…

«L’autotune è uno strumento che ho sperimentato moltissimo negli ultimi tempi, ispirato dai miei ascolti internazionali, a partire da Post Malone. Mi sono reso conto che utilizzandolo in un determinato modo, non come siamo soliti fare nel nostro Paese, può rappresentare anche un valore aggiunto, perchè si tratta di un vero e proprio strumento, che caratterizza e rappresenta le nuove generazioni cresciute con la tecnologia. Quindi, ho provato ad utilizzarlo in una maniera più furba, anche perchè mi piace sperimentare e rischiare, senza badare troppo ai preconcetti».

Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?

«Penso che sia un po’ lo stesso insegnamento che mi hanno trasmesso da sempre i miei genitori, ovvero quello di scegliere sempre la strada più difficile, senza accontentarmi mai, non accettando i compromessi. Ricercare la bellezza è la cosa per me più importante, creare qualcosa che possa rimanere, scegliendo sempre la strada in salita, anche se può sembrare apparentemente il percorso più difficile o quello che può non portarti un risultato immediato. Credo che i veri bilanci si facciamo a media o lunga distanza».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.