giovedì 21 Novembre 2024

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Silvia Adelaide: “Certi dolori non si possono insabbiare, ma solo affrontare” – INTERVISTA

A tu per tu con la cantautrice trevigiana, al suo ritorno discografico con “Fiori rossi ed un vestito blu”

Tempo di nuova musica per Silvia Colomberotto, meglio nota con lo pseudonimo di Silvia Adelaide, cantautrice che ricordiamo per la vittoria nel 2006 del Festival Show con il brano “Quando l’amore non c’è”. Classe ’88, per diversi anni l’artista è stata costretta ad allontanarsi dalle scene musicali per problemi personali, per poi intraprendere un interessante percorso teatrale. La sua storia ci ha incuriosito e il suo nuovo singolo “Fiori rossi ed un vestito blu” ci ha letteralmente conquistati. Dopo aver realizzato i cori e le voci femminili per il singolo multi-platino “Nera” di Irama, approfondiamo la conoscenza di questa giovane promessa della musica leggera.

Ciao Silvia, partiamo dal tuo nuovo singolo “Fiori rossi ed un vestito blu”, cosa hai voluto esprimere? 

«Non so esattamente cosa io sia riuscita ad esprimere. Ho soltanto raccontato una storia: la storia di una donna che ha perso una persona cara e che, a distanza di anni continua a misurarsi con questa mancanza, che diventa ogni giorno di più presenza».

Nel testo svisceri il tema della mancanza, quel momento in cui realizzi di essere rimasto solo/a. Quali domande ti sei posta e a quali conclusioni sei arrivata? 

«La mancanza è qualcosa con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno. A volte a mancarci sono cose piccole, insignificanti. Queste mancanze le superiamo giorno dopo giorno. Quando invece perdiamo qualcosa di importante, che ormai ci apparteneva, la mancanza diventa soltanto il modo che troviamo per mantenere vivo dentro di noi un ricordo».

Dal punto di vista musicale, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare per esprimere al meglio il significato di un messaggio così universale? 

«Come avete sentito, è stato scelto un arrangiamento molto tradizionale, con l’intento di lasciare centrale l’interpretazione del testo. L’unica particolarità, sono le cinque modulazioni armoniche studiate per alzare sempre di più la tonalità dell’inciso».

Quali innovazioni contiene questo pezzo rispetto alle tue produzioni passate? 

«L’innovazione per me è stata tornare a scrivere in italiano, dopo anni di scrittura in inglese, con una nuova consapevolezza».

Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip diretto da Lorenzo Galli? 

«Spesso per distrarci da certe mancanze tendiamo a riempirci la vita. Nel video, si presuppone io sia appena uscita da una serata di festa con amici. e, proprio in quella situazione, il vuoto diventa ancora più evidente. Per questo esco, mi sciolgo i capelli, passeggio e torno ai miei pensieri. Quello che abbiamo voluto trasmettere è che certi dolori non si possono insabbiare, ma solo affrontare, prima o poi».

Quando e come hai scoperto la tua passione per la musica? 

«A pensarci mi fa sempre uno strano effetto. Ho iniziato a cantare intorno ai 14 anni, non mi era mai interessato prima. A causa del mio carattere chiuso, avevo difficoltà a parlare con le persone. Era un periodo difficile, penso la musica si sia accorta di me e sia venuta a farmi compagnia». 

Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso? 

«Tantissimi. A 18 anni ho avuto la fortuna di lavorare in un negozio di dischi. Ci passavo tutto il tempo, anche fuori dall’orario lavorativo. Ho ascoltato di tutto, dal pop al soul, jazz, country, un po’ di elettronica. La musica classica mi fa piangere ma prima o poi riuscirò a prendermi del tempo da dedicarle. Alcuni dei musicisti di cui mi sono innamorata e che mi hanno influenzata: Leonard Cohen, Johnny Cash, Ani di Franco, Muddy Waters, Etta James, Bruce Springsteen, Elvis Presley, Tori Amos, Edith Piaf».

C’è un incontro che reputi fondamentale per la tua carriera? 

«Assolutamente. Mi ha cambiato la vita e ha cambiato il mio modo di approcciarmi alla musica, trovando la fiducia che avevo perso e facendomi sentire ancora una cantante: la collaborazione con i musicisti Matteo Masin e Mauro Masin, con i quali ho realizzato un album intimista ma che reputo un lavoro che mette insieme cuore e musica: “Traffic Island”. Continuiamo a collaborare, scrivere e suonare, come abbiamo sempre fatto, a distanza. Io a Milano, loro nel cuore delle colline venete, dove sono iniziate le prime prove, dove non vedevo l’ora di tornare mentre studiavo e lavoravo a Milano. In seguito l’incontro importante con i produttori Giulio Nenna e Andrea DB Debernardi, con i quali sto lavorando ai prossimi brani per Fonjka Label».

Ti senti rappresentata dall’attuale mercato discografico e da ciò che si sente oggi in radio? 

«Spesso quello che sento è molto distante da ciò che mi rappresenta; allo stesso tempo ammiro e cerco di farmi influenzare da chi riesce ad arrivare alle persone ed essere al passo con i tempi». 

Quali sono i lati del tuo mestiere che ti fanno esclamare: “che bello il lavoro che faccio”? 

«Quando per lavoro posso dire “devo stare da sola con il pianoforte”. Oppure scrivere una storia, o ancora quando arriva una melodia buona e si interseca esattamente con le parole che avevo in mente e arriva una canzone. Quando qualcuno mi dice: mi sono emozionato, o, mi ha fatto compagnia la tua musica. Quando guardo le persone mentre prendo un caffè e mi accorgo che osservandole vorrei scrivere di loro e di quello che loro non possono vedere».

Quali sono i tuoi obiettivi futuri e/o sogni nel cassetto? 

«Continuare a fare teatro e fare tantissima musica arrivando a più persone possibili, confrontarmi con i loro pareri e realizzare altre canzoni in italiano, ma anche in inglese e francese. Voglio che le mie canzoni siano uno specchio tramite il quale tanti possano riflettere le loro paure, storie e speranze; per questo nei prossimi brani racconto esperienze in prima persona, ma anche di altre persone che ho conosciuto. Sogno nel cassetto: realizzare concretamente un progetto che ho a cuore: una struttura di accoglienza dedicata alle persone, come ben sappiamo soprattutto donne, in difficoltà. Aiutarle a ritrovare la forza e il coraggio rubato, anche grazie a progetti musicali/teatrali, per esperienza terapeutici». 

Per concludere, quali messaggi vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica? 

«Bellezza e gentilezza, ma soprattutto forza. Tre parole che per me hanno valore assoluto e che sento mancare sempre di più nelle piccole cose di ogni giorno».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.