A tu per tu con il cantautore romano, in uscita con il suo secondo album in studio intitolato “Settebello“
E’ disponibile su tutte le piattaforme digitali da venerdì 20 marzo “Settebello”, il secondo progetto discografico di Marco Cantagalli, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Galeffi, giovane artista classe ’91 che abbiamo apprezzato di recente con i singoli “Dove non batte il sole”, “America” e “Cercasi amore”. A tre anni di distanza dalla pubblicazione del suo album d’esordio “Scudetto”, lo ritroviamo più maturo e centrato, in un lavoro che riscopre valori e suoni analogici, pur abbracciando un approccio contemporaneo frutto della collaborazione con i Mamakass (duo di producer composto da Fabio Dalè e Carlo Frigerio, già al lavoro con i Coma_Cose). In occasione di questo importante lancio, abbiamo incontrato il cantautore romano per approfondire la sua personale visione musicale.
Ciao Marco, bentrovato. “Settebello” è il titolo del tuo secondo album, un disco sincero ma anche policromato, perché pieno di tante sfumature che vengono fuori ascolto dopo ascolto. Quali sono state le fasi di lavorazione di questo progetto?
«La prima parte l’ho realizzato a casa, ho cominciato a ridosso del termine del tour di “Scudetto”, ovvero a fine 2018, per cui ho scritto dal gennaio successivo fino a maggio, sono stato chiuso a casa passando tante ore al giorno a registrare demo. Dopodiché sono andato al mare, in una casa di famiglia sul litorale romano, con mio fratello e i Mamakas, ovvero i produttori del disco. Lì abbiamo creato e improvvisato uno studio, dove abbiamo scritto la maggior parte delle canzoni di questo album. Da settembre in poi abbiamo realizzato le voci, per poi passare al mixer e ai vari master, le ultime due fasi di realizzazione dell’interno lavoro».
Un approccio alla scrittura influenzato dalla musica del passato, hai raccontato di aver consumato un sacco di vinili. Quali ascolti ti hanno accompagnato e quali caratteristiche pensi di aver “upgradato”?
«Guarda, in verità la musica del passato mi ha sempre accompagnato, sicuramente nel periodo di scrittura del disco ho ascoltato tanti vinili, anche perché mi ero trasferito da poco nella nuova casa, da solo, quindi mi sono sentito più libero di sentire ciò che volevo, visto che quando condividi l’abitazione con altre persone devi anche rispettare i gusti di tutti. Ho sempre ascoltato musica del passato, magari in precedenza non si era notata una così forte influenza, mi riferisco al mio primo disco “Scudetto” realizzato un po’ in quattro e quattr’otto. Tra gli artisti che mi hanno accompagnato nella stesura di “Settebello” posso citarti i Nirvana, Francesco De Gregori, i Beach Boys, Piero Ciampi, David Bowie e Franco Battiato».
Possiamo dire una lavorazione lenta, che richiede un ascolto altresì concentrato e qui mi collego alla velocità con cui vengono divorate oggi le canzoni. Pensi che attraverso la riscoperta di un approccio più analogico si possa riuscire a realizzare lavori che durino più a lungo nel tempo?
«Certamente sì, hai centrato un punto importante. Non vorrei sembrare gradasso, ma credo che il problema della scena indie o comunque della nuova musica italiana è rischiare di fare grandi numeri senza una grandissima qualità. La qualità si ottiene perdendo tempo, bisogna fare esperimenti e lavorare tanto. Sicuramente io l’ho fatto, mi sono fatto un bel mazzo per questo album, ci ho creduto sin da subito, avevo bisogno di realizzare un disco che avesse l’ambizione di durare nel tempo».
A proposito di tempo, in questo momento ne abbiamo a disposizione parecchio, l’emergenza sanitaria per il contenimento del Coronavirus ha mutato, seppur momentaneamente, la nostra quotidianità. Tu, personalmente, come stai vivendo quanto sta accadendo?
«Sono una persona talmente casalinga che, in realtà, questa situazione mi ha cambiato ben poco la vita. A livello pratico, mi piace stare a casa, sono tendenzialmente un pigrone, guardo film e serie tv, ascolto dischi, in genere passo molto tempo tra le mura domestiche. A livello spirituale sto un po’ risentendo di tutta questa paura collettiva, anche se da un certo punto di vista non si respirava tutta questa italianità dai mondiali di calcio del 2006. La nostra nazione al suo interno ha parecchie divisioni, ma in determinate situazioni riscopriamo tutti un po’ di sano patriottismo, questo è molto positivo, al punto che non mi sta lasciando indifferente, anzi. Sto accumulando delle idee, anche se nel pratico non ho ancora scritto nulla in questi giorni di clausura, sicuramente sto maturando qualcosa di nuovo».
Tra i tanti artisti che in questo periodo hanno rimandato le proprie uscite, c’è chi invece decide di pubblicare il proprio lavoro, sia per dare un segnale che per fare compagnia alle persone. Secondo te, che ruolo può avere la musica in questa delicata situazione?
«Ad essere molto onesti, che poi penso ripaghi sempre, abbiamo rimandato l’uscita di una settimana perché inizialmente la situazione non era grave come oggi, per prendere tempo e capire meglio cosa stesse accadendo. Una volta realizzato che la cosa non si sarebbe risolta brevemente, con la mia squadra abbiamo optato per non rimandare la pubblicazione ulteriormente. In più l’idea di poter far ascoltare la propria musica in un momento del genere poteva diventare un qualcosa, senza porci troppi obiettivi romantici, bensì per metterci in qualche modo nella condizione di uscire in periodo storico come questo, in primis per tenere compagnia, per far passare un po’ di noia o di sconforto alle persone che sono costrette a stare a casa. Semplicemente questo ci sembrava già una cosa positiva, ovviamente abbiamo dovuto rimandare l’uscita del fisico, non appena le cose si spera possano un minimo migliorare. La salute prima di tutto, quello che sta accadendo è un qualcosa di molto più grande, per quanto mi riguarda sono contento di aver realizzato un bel disco e, nel mio piccolo, di poterlo farlo ascoltare in un momento così particolare e toccante».
Da come ne parli “Settebello” è davvero un disco a cui tieni particolarmente, nella nostra precedente chiacchierata mi hai detto addirittura di esserti ammalato per realizzarlo. Ecco, cosa ti rende più fiero di questo lavoro?
«Dopo Fulminacci penso di essere uno degli artisti più giovani del circuito indie, sono orgoglioso di questo disco proprio perché non ho scelto la via più facile. Dopo il riscontro ottenuto con “Scudetto” avrei potuto reagire in maniera diversa, fare un disco più comodo, seguire un sentiero più facile, addirittura anche perdere completamente la testa, diventare un mitomane preso male. Invece, la cosa che mi rende più fiero è proprio come mi sono comportato, l’impegno che ho messo per crescere e proporre un progetto di qualità. Nella vita non amo molto le scorciatoie, ho imparato con gli anni che ti portano sempre a cadere in dei tranelli, per cui ho preferito seguire la strada più complicata, tortuosa e in salita, sono convinto che questa scelta mi servirà anche in futuro. Sicuramente “Settebello” non è un disco che puoi apprezzare subito, ci sono pezzi che necessitano di pazienza e partecipazione, altro più diretti, ho cercato nella scaletta di alternarli per rendere fruibile l’ascolto».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?
«Resistere. Sai, col tempo ho sperimentato molto e fatto cose diverse, mi sono allontanato più volte dalla musica perché vedevo che i risultati non arrivavano, pur non perdendo mai la passione per questa forma d’arte, continuando a scrivere e studiare per almeno una decina d’anni. Resistere alla lunga ti premia, credo che la più grande lezione sia questa, se ci credi non devi mai mollare il colpo. Poi, non è che io mi senta arrivato, non sono nessuno chiaramente, anche se qualche piccola soddisfazione me la sto togliendo, per cui sono contento di non aver mai mollato».
© foto di Giovanna Onofri
Nico Donvito
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