lunedì 25 Novembre 2024

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Adduci: “Bisogna avere il coraggio di guardare dentro noi stessi” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore napoletano, in uscita con il singolo d’esordio intitolato “Parte di me

Debutto discografico per il giovane Adduci, fuori con la sua prima opera musicale “Parte di me”, canzone che anticipa l’uscita del suo primo album. Il brano, disponibile in radio e sulle piattaforme digitali dallo scorso 22 maggio, racconta l’artista ma, allo stesso tempo, riflette il disagio e le difficoltà tipiche della nostra epoca. Accettarsi non è facile, approfondire la conoscenza di ciò che siamo non può far altro che facilitare questo processo

Ciao Adduci, benvenuto. Partiamo dal tuo singolo d’esordio intitolato “Parte di me”, cosa rappresenta esattamente per te questo biglietto da visita musicale?

«Ho scelto di cominciare il mio percorso con questo brano perché io per primo provo a capire chi sono e come sono fatto, ho quindi pensato che potesse essere perfetta per conoscersi!».

L’accettazione di se stessi, seguire l’istinto e la propria natura. In una società votata sempre più all’emulazione, come ci si estranea senza correre il rischio di finire per sentirsi emarginati?

«Estraniarsi senza procurarsi alcun effetto collaterale purtroppo non è mai possibile, che ci piaccia o meno l’homo sapiens è un animale sociale e degli altri abbiamo bisogno. E uno dei motivi per cui abbiamo bisogno del prossimo è che sappiamo benissimo di non poterci fidare soltanto del nostro punto di vista. Scegliamo chi essere e come, facciamo sacrifici, combattiamo battaglie, ma ci serve un feedback esterno per credere alla nostra versione dei fatti, per alleviare la nostra insicurezza. In definitiva non c’è un modo, ma trovo sempre particolarmente utile fare uno sforzo per capire. Un passo verso gli altri o verso di sé. Bisogna avere il coraggio di guardare».

Musicalmente parlando, che tipo di sonorità hai scelto di abbracciare per presentarti al grande pubblico?

«Ho scelto di far coesistere due tipi di sonorità, una assolutamente contemporanea e un’altra che potremmo definire vintage. Non mi precludo mai nulla, sono uno della vecchia scuola e gli arrangiamenti nascono in sala prove con la band».

Facciamo un salto indietro nel tempo, c’è stato un momento preciso in cui hai capito che tu e la musica eravate fatti l’uno per l’altra?

«Non saprei dire se siamo realmente fatti l’uno per l’altra, c’è stato però un momento in cui ho capito di non poterne fare a meno. Il primo ricordo che ho è di una chitarra in vetrina al centro commerciale quando ero ancora un bambino, una specie di colpo di fulmine senza alcuna ragione apparente, in famiglia non suonava nessuno e la musica era del tutto estranea alla mia quotidianità… però dovevo averla! Così ho messo da parte la paghetta fino al giorno in cui ho potuto permettermela. Non sapevo a cosa sarei andato incontro, ma da lì a poco la musica divenne la cosa più importante della mia vita».

Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?

«Ovviamente ascolto moltissima musica e penso che tutto in qualche modo mi influenzi, anche altri tipi di arte, anche la mia semplice quotidianità e le persone che incontro. Se dovessi provare a fissare dei punti in relazione al mio percorso musicale i nomi che mi verrebbero in mente sarebbero: Roland Dyens, Donnie Vie, Sergio Cammariere, John Lennon, Bobo Rondelli, Piero Ciampi, Giovanni Truppi… mi fermo qui perché la lista sarebbe infinita!».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

«Mi affascina particolarmente un certo tipo di armonia che lega il suono delle parole a quello della musica. È un rapporto non subordinato ad alcun tipo di legge o regola, a differenza dell’armonia musicale in senso stretto o della metrica, che pure sono cose estremamente affascinanti, ma in modo diverso».

L’emergenza sanitaria Covid-19 ha mutato, seppur momentaneamente, la nostra quotidianità. Tu, personalmente, come hai affrontato le ultime settimane?

«Ho provato a sfruttare qualsiasi tipo di vantaggio potesse derivare da questa condizione, ad esempio sono riuscito a rimettermi in forma grazie a un’alimentazione sana, che normalmente è quasi impossibile conciliare all’interno della routine frenetica milanese».

A livello umano, per tornare al tuo brano, in che termini pensi sia mutato il rapporto con noi stessi? Se da un lato abbiamo avuto modo e tempo per riflettere, dall’altro qualche certezza l’abbiamo forse pure persa…

«Guardare a sé e alla propria vita da un’angolazione diversa è ciò che succede anche in Parte di me. Credo che questa nuova prospettiva abbia potuto influenzare in diversi modi ciascuno di noi, facendo apparire più chiare alcune cose e magari più confuse alcune altre. Ad ogni modo nella vita non ci sono certezze! Raggiungere questa consapevolezza può avere un valore molto più alto di tutto il denaro del mondo, perché i soldi vanno e vengono, ma il tempo, per un essere umano, scorre sempre in un solo verso».

“Parte di me” anticipa l’uscita del tuo disco di debutto, cosa dobbiamo aspettarci a riguardo?

«Prestissimo saranno pubblicate nuove canzoni, sia mie che di altri artisti con cui ho avuto il piacere di collaborare! L’album arriverà a compimento di questo primo capitolo della mia storia artistica, ma questo capitolo è appena cominciato!».

Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?

«Nelle mie migliori intenzioni la mia musica potrebbe rivolgersi a qualsiasi tipo di ascoltatore, ma sono sicuro che il mio messaggio possa essere apprezzato meglio da chi ha voglia di ascoltare con attenzione, di scavare un po’ più a fondo in queste parole e dentro di sé».

© foto di Jacopo Rufo

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.