A tu per tu con il cantautore lombardo, in uscita con l’album intitolato “L’amore non ha ragione“
Tempo di nuova musica per Michele Negrini, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Michele Mud, artista classe ’76 che vanta diversi lavori realizzati sia con band dei Terzobinario che da solista. “L’amore non ha ragione” è il titolo del suo nuovo album, anticipato dall’omonimo singolo, entrambi in uscita a partire dallo scorso 12 giugno.
Ciao Michele, benvenuto. Partiamo dal tuo nuovo singolo “L’amore non ha ragione”, cosa racconta?
«Il singolo racconta di quanto ci siano parti della nostra vita che, se le leggiamo attraverso gli occhi della ragione, non hanno senso. L’amore è una di queste ma molto di ciò che ci muove dentro e che muove la nostra vita nei momenti davvero importanti, come le nostre passioni, spesso non è razionale. Imparare il linguaggio dell’irrazionale ci permette di distinguere ciò che la vita ci pone davanti e di affrontarlo con maggiore energia».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il significato del brano?
«Direi “All’amore basta uno sguardo e poi è tutto a posto”. Non perchè in amore le cose siano semplici. Ma perchè proprio quando sono più difficili, se si riesce a ricordarsi sempre che prima di tutto abbiamo di fronte delle persone a cui vogliamo bene e riusciamo a guardare l’altro con questi occhi, tutto cambia. Cambiano le parole che diciamo; cambia ciò che sente l’altro».
A livello narrativo, cosa aggiungono le immagini del videoclip diretto da Manuel Norcini?
«Il videoclip è nato in quarantena. Abbiamo dovuto trovare una chiave di lettura del brano senza poter inserire immagini di me che cantavo e suonavo, poiché non potevamo vederci. Con Manuel c’è stata subito una intesa sui valori da comunicare. Il fatto che il brano uscisse subito dopo la quarantena ci ha fatto scegliere di puntare su immagini evocative e poetiche che in qualche modo rendessero evidente le cose profonde che questo lockdown ci ha tirato fuori: il legame stretto con la natura, il legame fra generazioni, la necessità di trovare nuovi ritmi, di guardarsi dentro e di restare in relazione con gli altri».
“L’amore non ha ragione” è anche il titolo del tuo nuovo album, pubblicato lo scorso 12 giugno. Quali pensieri e quali stati d’animo lo hanno ispirato?
«È un album che nasce molto prima della quarantena ma i cui significati si sono, in questi mesi, forse anche rafforzati. Nasce dal disagio rispetto ai tempi in cui stiamo vivendo. Dal non volersi rassegnare ad un linguaggio volgare, all’ostentazione della forza, all’invidia che dilaga sui social, alla mancanza di rispetto per le donne. Anche in tanta musica pop e indie di questi anni non si è fatto altro che descrivere questo mondo in modo rassegnato, quasi piangendosi addosso. Come se vivere questo tempo sia una sfortuna, una condanna. Nel mio album volevo che venisse fuori il fatto che esiste sempre una strada diversa. Che è una strada magari faticosa ma fatta di relazioni, di sentimenti veri, di progetti da costruire insieme e non di individualismo e di chiusure. Una scelta poco in voga forse nella musica italiana di oggi, forse,ma di cui sentivo un grande bisogno».
C’è un filo conduttore che lega le dieci tracce in scaletta?
«Il filo conduttore forse è quello della fragilità. Che non vuol dire debolezza. La fragilità è la condizione dell’essere umano. Una condizione che, soprattutto oggi, si tende a nascondere. Magari dietro a maschere sociali che costruiscono immagini di noi che non corrispondono alla verità. Tutto perchè sappiamo che dentro di noi siamo fragili e non vorremo che gli altri se ne accorgessero. Invece l’album cerca di costruire un filo che lega la fragilità di ciascuno facendo sentire questa condivisione come un elemento che ci rafforza».
A livello musicale, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare in questo lavoro?
«Sono rimasto legato a sonorità acustiche che fanno da sfondo a tutto l’album. Ci sono colori più ricchi rispetto al primo album ma ho scelto arrangiamenti che mantenessero i brani su un flusso di solarità, di energia o di intimità. In modo che anche la scoperta di quella fragilità di cui parlavo, fosse accompagnata da una musica accogliente e solare».
Nel disco sono presenti alcuni ospiti, da Omar Pedrini a Enrico Zapparoli, passando per Rossana Carraro e Tommaso Cerasuolo. Cosa ha aggiunto ognuno di loro a questo progetto?
«Innanzitutto hanno aggiunto l’amicizia. Volevo che ciò che dico nelle canzoni fosse vero a partire da come questo album nasceva. Cantare di uno sguardo nuovo, di nuove relazioni e poi fare un album da solo, non avrebbe avuto senso. Ogni collaborazione nasce da una amicizia e dalla libertà di ciascuno di loro di decidere come intervenire all’interno del brano. Sono tutti grandi artisti e volevo che dessero la loro impronta. E lo hanno fatto. Ognuno ha valorizzato un colore diverso in ogni canzone. Un colore che io da solo non avrei potuto mettere in evidenza ma che la canzone aveva. Sentirli in ogni brano ad album finito, è stata una gioia immensa».
Venendo alla pandemia, con quale spirito stai affrontando questa graduale ripartenza e come speri ne potrà uscire l’industria musicale da questo momento di difficoltà?
«L’industria musicale penso fosse in grande difficoltà già prima della pandemia. La pandemia ha reso evidente quanto il lavoro del musicista in Italia abbia bisogno di fare molti passi avanti. In primis da parte dei musicisti stessi che devono organizzarsi per essere riconosciuti. Da un punto di vista creativo penso che in Italia se ci sarà una ripresa non sarà grazie all’industria discografica ma, se mai, all’artigianato discografico. Gli spazi del mainstream sono tutti occupati da pochissime forme musicali ben precise. Quello è ciò che fa l’industria per cercare di massimizzare i propri profitti. Poi c’è chi, nelle difficoltà, nel silenzio, cura i progetti come fanno gli artigiani. Chi ascolta e cerca la qualità. Chi ascolta e cerca le novità. E che magari ha bisogno di anni di cura per potersi imporre a un grande pubblico. Penso che la musica sopravviverà e saprà rinnovarsi grazie a questi artisti e a queste piccole realtà che credono ancora in questa forma d’arte».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«La mia musica non è per tutti. Non è per chi si diverte a denigrare le donne. Non è per chi inneggia all’uso di droghe. Non è per chi pensa che chi ha molti soldi sia un vincente e per questo possa trattare il resto del mondo come uno zerbino. Adulti o giovani che siano. Per questi ci sono altre musiche e altri artisti. La mia musica è per chi ha voglia di scoprire modi nuovi di dire le cose importanti della vita. Per chi non ha paura di ammettere la propria fragilità. Per chi sa che prima o poi la vita chiama tutti a confrontarsi con il fallimento. Per chi, quando succede, preferisce non trovarsi solo. Spero solo di poter arrivare a tutti quelli che hanno questa sensibilità perchè sono certo che queste persone sono molte di più di quelle che chi fa la voce grossa ci vuol far credere».
Nico Donvito
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