L’analisi sul nuovo inedito presentato in concorso alla 69esima edizione del Festival di Sanremo
Quale miglior luogo per celebrare venticinque anni di carriera se non il palco del Teatro Ariston? Ambito ma al tempo stesso temuto, banco di prova e location ideale per festeggiare le nozze d’oro con la musica dei Negrita, gruppo musicale composto dal frontman Paolo “Pau” Bruni e dai chitarristi Enrico “Drigo” Salvi e Cesare “Mac” Petricich. “I ragazzi stanno bene” è il titolo composto dagli stessi membri della band e da Il Cile, prodotto da Fabrizio Barbacci e posizionatosi al ventesimo posto della classifica finale di Sanremo 2019.
Il rifiuto delle regole imposte dall’odierna umanità è il tema centrale del testo, dal quale ci si può svincolare con un po’ di karma o di sana fortitudine. Un’analisi sociale sull’attuale “mondo dei confini e passaporti, dei fantasmi sulle barche e di barche senza un porto”, in cui ci si sente sempre più confusi e soli, fino ad esplodere nel corale e liberatorio “non mi va” dell’inciso.
Le atmosfere sonore ricordano le migliori produzioni dei Negrita, tra tutte l’album “Reset“ che proprio quest’anno celebra vent’anni dalla sua uscita. Un sound riconoscibile, che è diventato un vero e proprio marchio di fabbrica. “I ragazzi stanno bene” è una piacevole dichiarazione di intenti, da parte di chi non si arrende e non si piega a qualsivoglia tipo di imposizione, la rivoluzione interiore di chi và dritto per la propria strada senza timori o rimpianti.
Una canzone-manifesto nel complesso azzeccata, giusta e rappresentativa di un percorso lungo un quarto di secolo. I Negrita tornano al Festival a sedici anni dalla loro unica e poco fortunata partecipazione del 2003 con “Tonight”, lo fanno in modo riconoscibile, consapevole e decisamente più maturo rispetto al passato. Il loro è un grido denso di positività, fatto di resilienza e della voglia di non rendere vano alcun istante della nostra esistenza, perché “la vita è una poesia di storie uniche”.
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Nico Donvito
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