A tu per tu con il giovane rapper romano, in uscita dal 28 febbraio con il disco “Io sono Fasma”
Reduce dal positivo successo ottenuto sul palco dell’Ariston di Sanremo 2020, ritroviamo con piacere Tiberio Fazioli, in arte Fasma, rapper classe ’96 in gara tra le Nuove Proposte con “Per sentirmi vivo”, uno dei brani ad aver ottenuto maggiore successo a ridosso della kermesse, tuttoggi ai vertici delle classifiche. Si intitola “Io sono Fasma” il suo nuovo disco, disponibile negli store digitali e nei negozi tradizionali a partire dal 28 febbraio, un lavoro di squadra quanto personale, quattordici tracce che spaziano tra i generi pur mantenendo salda una poetica urbana ben a fuoco, una consapevolezza costruita a piccoli passi, come mattoncini di un castello di Lego.
Ciao Tiberio, bentrovato. “Io sono Fasma” è il titolo del tuo nuovo disco che contiene quattordici tracce, avevi molto da raccontare?
«Sì, ma di cose da dire ne ho ancora tante (sorride, ndr), per fortuna. Rispetto al mio precedente album c’è sicuramente più consapevolezza, sia per quanto riguarda la durata delle singole tracce, sia per la presenza di diversi featuring».
L’impressione è che tu ti sia espresso ed aperto ancora di più rispetto a quello che avevi fatto in passato, cosa è scattato dentro di te esattamente?
«Grazie alle persone che mi ascoltano mi sono reso conto che la mia musica poteva andare oltre, sentirmi capito dal pubblico mi ha emotivamente aiutato ad aprirmi ulteriormente, semplicemente vedendo che facevano proprie le mie parole, mi sono sentito in dovere di proseguire ancora più a fondo questo tipo di scambio».
Nel brano d’apertura dici: “secondo me c’è un Fasma in ognuno di noi”, come lo riconosciamo? Quali sono i sintomi? Visti i tempi…
«Eh già (ride, ndr), diciamo che un Fasma in ognuno di noi è una frase su cui ho riflettuto parecchio, perché la musica che faccio non ha regole e non ha genere, l’essere umano per me è bello perché è pieno di sfumature, ognuno ha i propri colori. Questa frase vuole sottolineare una sorta di vocina interiore che ciascuno di noi può decidere o meno di ascoltare, ma è quella parte di noi più istintiva che parla e ci dice cosa dovremmo fare. La mia fortuna è che sono riuscito a tirar fuori questa vocina tramite la musica, ma non è detto che sia l’unico canale, anzi, credo che ognuno debba utilizzare il veicolo che ritiene più opportuno».
Se “Per sentirmi vivo” l’avevi descritta come una piccola storia, “Io sono Fasma” cosa rappresenta per te esattamente?
«Una sorta di fiction con puntate che raccontano ognuna la sua storia, ma comunque legate tra loro. La cosa bella è che mi sono aperto tirando fuori molto del mio vissuto, in maniera totalmente personale, ascoltando il risultato finale mi sono accorto che tutti questi frammenti stavano bene insieme, anche se apparentemente e inizialmente non era poi così scontato».
“Per sentirmi vivo” è uno dei pezzi tutt’oggi più ascoltati dell’ultimo Festival di Sanremo, secondo te, quali sono gli elementi che hanno decretato il suo successo?
«Sai, alla fine la gara è con se stessi, non mi piace sottolineare risultati o condividere numeri attraverso i social, sono contento di tutto questo successo perché parte dal pubblico, che mi sta davvero dimostrando tanto. I fattori che hanno contribuito a tutto questo sono tanti, ma nessuno è stato calcolato, anzi, credo che siano elementi fortuiti e apparentemente futili per la maggior parte delle persone. Diciamo che tutta la mia musica è il frutto di un insieme di cose che fanno parte del quotidiano, che per me valgono immensamente.
“Per sentirmi vivo” è arrivata grazie a Sanremo, al potere dello schermo e ad un palco così importante, ma è altrettanto vero che questa traccia è frutto di un lavoro e della voglia di mostrarmi in tutta la mia sincerità, per come sono veramente. La cosa che mi stupisce di più è proprio questo sentirmi sorpreso, dico la verità, penso di essere io la persona maggiormente sorpresa di tutto questo affetto gigante, nel mio team sono notoriamente quello che ci crede di meno, perciò è bello perché me la sto vivendo con gli occhi di un bambino, ma con la consapevolezza di un adulto che fà di tutto per non farsi sfuggire di mano questa meravigliosa opportunità».
Cosa ti stupisce di più di tutto questo affetto dimostrato dal tuo pubblico?
«Che mi capiscono anche senza l’aver utilizzato alcun tipo di maschere, sin da quando sono piccolo ho imparato che l’unica cosa che conta veramente nella vita è la sincerità, in questo caso assolutamente reciproca. Da parte loro noto la voglia di ascoltarmi per davvero, che non è la stessa cosa di sentire, tutta questa sensibilità mi sta riempendo di calore e di energia. Io e i miei compagni di viaggio, abbiamo voglia di portare in giro quello che prima albergava soltanto nella nostra testa».
Alla domanda che ti ho fatto a dicembre sulla tua “relazione” con la musica, mi avevi risposto che non eravate fidanzati e che stavate ancora filtrando. Oggi, come prosegue il vostro rapporto?
«Beh, devo dire che il rapporto è sempre quello, io e lei ci completiamo, la musica ormai è parte integrante delle mie giornate. Prima era un po’ l’amore segreto, quello proibito, non era tutto così rose e fiori, un po’ una follia e un po’ un sogno. Oggi è sicuramente più bello perché sta diventando un rapporto più sano, pur mantenendo sempre la foga della prima volta, quel brivido, quella voglia di continuare a conoscersi e non riuscire a farlo mai fino in fondo. E’ una relazione alla luce del sole, c’è più consapevolezza di voler stare insieme, ma allo stesso tempo resta un rapporto aperto, libero da ogni schema. Comunque sia, la musica non la tradirei mai… ecco».
Il 3 aprile al Teatro Centrale di Roma e il 5 aprile ai Magazzini Generali di Milano, sono le due date evento che ti riporteranno ad esibirti dal vivo. Hai già un’idea di come voler strutturare queste spettacoli?
«Guarda, l’unica certezza che ho è che spaccheremo tutto! Se riusciremo a ricreare la stessa energia e la stessa empatia che si erano costruite nelle precedenti esperienze dal vivo, sono convito che si creerà nuovamente qualcosa di unico Sulla struttura posso anticiparti che sarò accompagnato da una band, in più vedrete il WKF al completo, tutto sarà alternato da diversi momenti, anche perché il disco comprende canzoni che utilizzano sonorità provenienti da generi differenti, quindi ci saranno diversi e numerosi passaggi emotivi. Voglio andare sul palco e cantare insieme a chi ho di fronte, il rapporto non deve essere quello che s’instaura solitamente tra pubblico e cantante, tra chi sta sotto e chi sopra il palco, bensì un clima di festa, un’atmosfera familiare, con l’obiettivo di uscire da questi live sia con qualcosa in più ma anche con qualcosa in meno, perché vorrà dire che siamo riusciti a sfogarci e buttare via un bel po’ di pensieri».
Tu sei partito da zero, appena hai avuto la possibilità hai creato insieme ai tuoi amici una piccola realtà discografica, un modo come un altro per continuare a trasmettere speranza anche attraverso la musica. Che messaggio ti senti di rivolgere a chi invece, in quest’epoca così nevrotica, magari questa speranza l’ha un po’ persa?
«Mi sento di dire che alla fine di un tunnel c’è sempre la luce, molte volte perdiamo il fuoco del nostro obiettivo quando piove o ci buttano l’acqua addosso. Il fatto è che la brace deve essere alimentata dall’interno, credo che questa sia la chiave di lettura per ogni cosa, quello che mi sento di dire a chiunque abbia un sogno è che la forza non la devono cercare fuori, bensì dentro di loro. Partire da se stessi, senza pensare a ciò che il mondo non ti ha ancora offerto, piuttosto concentrandosi su quello che si ha da offrire al mondo. Quello che posso dire è che se ce l’abbiamo fatta noi che siamo partiti da niente e non abbiamo superpoteri, davvero, ce la può fare chiunque.
La cosa importante è non lasciarsi abbattere da questa realtà che ci limita, soprattutto per questa paura, perché alla fine è un po’ come il Coronavirus, tutto questo allarmismo non porta nemmeno a farci le domande giuste, ragioniamo per sentito dire. Non dobbiamo avere paura di sbagliare, il fallimento non è un metodo di giudizio per criticare le persone, perché nel momento in cui ci hai provato per me sei un eroe e ti meriti davvero ciò che vuoi. Pensa che qualche anno fa avevo il timore di esprimere una mia opinione scrivendo un pezzo, perché buttare giù un testo significava combattere un’altra volta contro un mondo che non credeva in me, è proprio in quel momento che ho capito che dovevo essere io a credere in me stesso, perché nessuno lo faceva al posto mio. Le persone che sono arrivate dopo, non hanno fatto altro che confermare questo pensiero e se oggi faccio musica è per loro, per dimostrare che chiunque può farcela. Scusa se mi sono dilungato, ma questo discorso è importante per me, è tutto».
Lo sento, lo avverto dalle tue parole, non deve essere stato facile per te arrivare fin qui, ecco perché credo che abbia un valore doppio, triplo, quadruplo…
«E’ proprio così. Parliamoci chiaro, qualche anno fa mi dissero che con la mia musica non avrei fatto e cambiato un c***o, che facevo schifo. Oggi è facile parlarne, anzi no, forse è ancora più difficile perché magari le persone intendono questo mio momento come un punto di arrivo, mentre io la considero una vera e propria partenza. Osservo quello che mi sta capitando con gli occhi di una persona che sta sognando e che ha voglia di sognare ancora di più, continuando a rischiare. Tutto quello che arriva per me non è affatto dovuto, perciò ringrazio la mia insicurezza perché mi porta a mettermi in discussione, ad avere sempre il beneficio del dubbio, nel guadare tutto e tutti dal basso.
Io non mi sento parte di quella generazione che viene costantemente affossata e scoraggiata, sono convinto che i giovani di oggi abbiano tanta voglia di fare e di dire, solo che il punto è che abbiamo bisogno di farlo con il megafono e spesso neanche ci ascoltano. La cosa bella di questo periodo, di questo risveglio generazionale, è che la comunicazione verte sugli ideali e non sulle semplici parole. Oggi come oggi, la violenza non la vedo nei ragazzi ma nei grandi, perché chi addita i giovani e li demoralizza, per me, commette una brutalità immensa, perché genera insicurezza e alimenta la paura, questo fà comodo perché attraverso la paura si possono controllare le persone. Di questa paura dobbiamo farne la nostra più grande forza perché, secondo me, le chiavi di lettura di questo mondo sono alla nostra portata, basta sufficientemente guardare le cose da un punto di vista differente».
© foto di Fabrizio Cestari
Nico Donvito
Ultimi post di Nico Donvito (vedi tutti)
- Cosa può una canzone: la musica per dire STOP alla violenza contro le donne - 24 Novembre 2024
- Sanremo Giovani 2024, conosciamo meglio Nicol – INTERVISTA - 24 Novembre 2024
- Sanremo Giovani 2024, conosciamo meglio Giin – INTERVISTA - 24 Novembre 2024
- Ottobre: “La musica per me è croce e delizia” – INTERVISTA - 24 Novembre 2024
- Spotify Chart 2024, settimana 47: Geolier è ancora il più streammato - 23 Novembre 2024