lunedì 25 Novembre 2024

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Vincenzo Incenzo: “Canto l’Italia dalla quale dovremmo ripartire” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore romano, in uscita con il singolo “Un’altra Italia” che anticipa l’album “EGO

A qualche mese di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Vincenzo Incenzo per parlare di “Un’altra Italia”, singolo rilasciato lo scorso 2 giugno in occasione della Festa della nostra Repubblica, che anticipa l’uscita del suo secondo album di inediti, intitola “EGO”, previsto per il prossimo 4 settembre.

Ciao Vincenzo, bentrovato. “Un’altra Italia” è il titolo del tuo nuovo singolo, quali pensieri e quali stati d’animo hanno accompagnato la sua stesura?

«Guarda, l’idea di partenza era quella di realizzare una sorta di dedica, di atto d’amore nei confronti di questo Paese. Mentre andavo avanti nella scrittura, che è stata abbastanza istintiva e di getto, è venuta fuori la rabbia e l’indignazione per tante cose, per tante ombre. Alla fine, credo che quello venga fuori da questa canzone sia la grande attenzione per le persone meno visibili, che ogni giorno si arrotolano le maniche e si sacrificano, lottando e sognando. Un’Italia che trova la forza di stare in piedi, dalla quale dovremmo ripartire».

Amore e rabbia sono un po’ i sentimenti che ci hanno accompagnato in questo lockdown. A livello emotivo, come pensi che ne uscirà la nostra società da tutto questo?

«Non sono sicuro che tutta la lezione sia stata assorbita, viviamo in un tempo in cui siamo sempre più folla e meno individualità, ecco perché ho scelto “EGO” come titolo del prossimo album. L’idea di rimettere al centro la persona, di uscire da questa massa anonima, dove tutti quanti tendiamo a delegare, un po’ per l’angoscia della scelta che ci preoccupa, preferiamo mille volte rinunciare alla libertà in nome di una comodità, è come non affrontare il problema, mentre credo sia fondamentale scavare in quelle stesse macerie con le nostre mani. L’augurio è che ci sia, in generale, maggiore buon senso».

Discograficamente parlando, sono stati fatti un sacco di appelli in favore dell’intera categoria, come pensi ne potrà uscire l’industria musicale da tutto questo?

«Beh, è un bel problema, ancora una volta io credo nella forza creativa dell’artista in primis, ma anche della gente, spero ci sia la capacità di trovare la strada. E’ chiaro che adesso stiamo vivendo un crack colossale, spettacoli rimandati, la difficoltà anche a gestire la situazione. Mi auguro che non si faccia l’errore che è avvenuto nello sport, per esempio, dove la piattaforma ha sostituito lo stadio, perché credo che il concerto viva di un’essenza quasi magica, miracolosa, che passa tra pubblico e palcoscenico. Non c’è un antivirus per questo, non è possibile immaginare un live plastificato dietro uno schermo, con tanta gente che lo segue da casa. E’ chiaro che ci dovranno essere ridimensionamenti, perché ci troviamo in una nuova condizione con cui dovremo imparare a convivere. Spero che alcuni archetipi della nostra collettività non muoiano, neanche di fronte alle nuove sfide della contemporaneità».

La tua è una vita dedicata completamente all’arte, la musica ti ha dato tanto, ma pensi ti abbia anche tolto qualcosa?

«Sì, sicuramente, me ne accorgo di più con gli anni, mi rendo conto di non aver costruito ancora una famiglia, alcune volte questa cosa mi pesa. Ho rinunciato a delle fasi della vita, anzi, di averle proprio saltate. A ventuno anni ero già in studio con Michele Zarrillo, Tosca, eccetera eccetera, passavo intere giornate e serate con la musica, ho avuto la fortuna e anche un po’ la condanna, lo dico col sorriso, di lavorare con persone molto totalizzanti. Alcune volte vivo anche un piccolo senso d’angoscia, mi chiedo se valga la pena di mettere da parte la vita di essere umano qualunque per vivere in questa realtà parallela, poi però mi ritrovo sempre lì al computer o al pianoforte, evidentemente la mia condizione è un po’ questa».

Nella nostra precedente intervista, ti avevo chiesto alcuni nomi di artisti dell’attuale scena che segui e che ti piacciono particolarmente, il primo che mi hai citato è stato Diodato, fresco vincitore di Sanremo. Che te ne è parso dell’ultima edizione del Festival e di questo bel trionfo?

«Diodato mi è sembrato veramente una scheggia impazzita, all’interno di un meccanismo abbastanza consolidato dove gli artisti facevano bene il loro compito, lui ha vinto con la forza della sua canzone, così come dovrebbe essere. Personalmente ero rimasto molto affascinato dal suo talento in un concerto che avevo visto qualche tempo fa a Roma, ho scoperto un artista straordinario. Mi piace pensare che possa accadere ancora con altri nomi, al di là del fatto che per un’esigenza tipicamente televisiva si installano solitamente dei paletti. Quando si mette in piedi una squadra si sceglie per ruoli, dal buon portiere al bravo centrocampista, passando per l’attaccante, però è bello quando a fare la partita in realtà è un outsider, qualcuno che propone qualcosa di non scontato, come accaduto a me come autore nel 2002 con Valentina Giovagnini, che mi piace ricordare e che si è classificata a sorpresa al secondo posto tra le nuove proposte. Insomma, è bello quando ad emergere è qualcuno che esula dalla prevedibilità, dal pronostico».

Sempre a proposito di Sanremo, hai partecipato ad otto annate del Festival, scrivendo un totale di undici pezzi che fanno parte della storia della kermesse. Da “Cinque giorni” a “L’elefante e la farfalla”, ma c’è un brano altrettanto valido che, forse, passa in secondo piano, mi riferisco a “Un altro amore no” presentato nel ’95 da Lorella Cuccarini. Mi racconti com’è nata questa collaborazione?

«Certamente, in quel periodo stavo lavorando con Davide Pinelli alle prime canzoni per Valentina, che all’epoca era veramente uno scricciolo (sorride, ndr). E’ venuta fuori questa collaborazione con Lorella in maniera abbastanza fortuita, Silvio Testi mi ha chiamato per completare alcune canzoni e scrivere i testi di tutto quell’album, che si intitola “Voglia di fare”. Da marito ricordo che mi ha censurato un sacco di cose (ride, ndr), lo capisco perché teneva in considerazione l’orizzonte nazionalpopolare di Lorella. Pensa che mentre lavoravo con lei mi ritrovavo a comporre contemporaneamente per la PFM, alternando quindi due linguaggi completamente diversi, il privilegio di questo mestiere è quello di poter scandagliare il mondo della canzone da parte a parte. Tra l’altro Lorella è una persona molto carina, ho un bel ricordo, nonostante i puristi storcano la bocca, alla fine, credo che non importi la collocazione delle cose, bensì la qualità che metti all’interno di un progetto. Quello era un prodotto ben confezionato, perfetto per lei, tanto che ebbe anche una bella visibilità e un buon piazzamento al Festival, classificandosi al decimo posto e pensa che, l’altro brano che avevo in gara, ovvero “L’elefante e la farfalla”, arrivò undicesimo. Una bella esperienza comunque, che rivendico con orgoglio».

Tornando al presente o per meglio dire al futuro, “Un’altra Italia” anticipa l’uscita del tuo secondo album di inediti, intitolato “EGO”. Cosa dobbiamo aspettarci a riguardo?

«Un disco molto diverso rispetto al precedente “Credo”, sono andato ancora più a fondo e con meno censure in questo dialogo tra anima e mondo, parlando in maniera molto libera. Essendo un lavoro autoprodotto, in questo senso, non ho avuto contrapposizioni dialettiche, anche se mi sono confrontato a lungo con il produttore artistico Jurij Ricotti, un musicista straordinario che collabora con personaggi del calibro di Andrea Bocelli, Ariana Grande e dei Queen, spaziando tantissimo. Questo album avrà un vestito completamente diverso, “Un’altra Italia” è paradossalmente il brano più classico presente in scaletta, seppur arricchito da un linguaggio piuttosto contemporaneo.

Sono davvero contento del lavoro svolto, anche perché è pensato un po’ come un’opera prima, compresi i videoclip dei successivi singoli, molto articolati, proprio come la copertina. Poi ci sono tante altre sorprese, te ne svelo una, oltre ai vari inediti sarà presente una cover, ovvero “Rispondimi” di Lucio Dalla, che avevamo scritto insieme per l’album “Henna” del ’93. E’ venuta in una maniera fantastica e sono sicuro che piacerebbe anche a Lucio, una versione visionaria in cui abbiamo convocato anche il suo storico tastierista Fabio Liberatori. E’ uscita una cosa veramente fuori di testa, d’altronde il disco è un po’ tutto così».

Per concludere, sempre a proposito di quello che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, che ruolo pensi possano avere la musica e l’arte in generale in questa fase di ripartenza?

«Credo molto a questa cosa, di solito dopo le grandi epidemie arrivano fasi di rinascimento, l’augurio è quello. Mi piacerebbe che l’autore riprendesse il ruolo di cantacronache, che tornasse a raccontare la realtà. L’arte può avere un impatto molto forte, è in grado di veicolare messaggi molto più di mille notiziari, spero si riesca a fare anche con la musica, perché comunque ci muoviamo in territori molto rapidi, molto veloci. Sono convinto che con un grande potenziale di sintesi si possa raccontare tanto in poco tempo, per il tipo di società verso cui ci dirigiamo, penso che siano elementi indispensabili per la nostra comunicazione».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.