lunedì 25 Novembre 2024

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“1990”, la nuova era di Achille Lauro – RECENSIONE

Nuovo singolo per l’artista romano, disponibile in rotazione radiofonica a partire da venerdì 25 ottobre

Paleozoico, Mesozoico, Cenozoico e Neozoico, queste le quattro macro-ere geologiche che scandiscono la vita della Terra, dalla sua creazione ad oggi. Lo scorrere del tempo ha sempre affascinato studiosi e letterati, fino ad arrivare all’epoca moderna, in cui il ritmo della musica va di pari passo con il fluire dei decenni. Ciascuno di noi collega un disco, una canzone o un concerto ad avvenimenti che hanno segnato profondamente il proprio percorso. A stravolgere il concetto di “era musicale” irrompe Achille Lauro, reduce da un’annata straordinaria sancita dal suo debutto al Festival di Sanremo con Rolls Royce, proseguita con la convincente ballad C’est la vie e con la pubblicazione di 1969, l’album della sua definitiva consacrazione. Al suo interno dieci tracce sospese a metà tra presente, passato e futuro, molte delle quali avrebbero meritato un lancio promozionale, tra tutte “Je t’aime” e “Zucchero”, entrambe considerabili come potenziali singoli.

Ma ad Achille Lauro non piace vincere facile (bonsci bonsci bon bon bon), così ha deciso di rimettersi in gioco e in discussione resettando tutto, ricominciando da “1990”, inedito che inaugura l’inizio di una nuova stagione. Dopo aver contaminato la propria musica con la samba in Pour l’amour e il rock in 1969, l’artista si ritrova a fraternizzare con la dance, genere musicale subentrato alla disco anni ’70 e ’80, che ha letteralmente dominato le classifiche di mezzo mondo negli anni ’90. Prodotto insieme al fedele Boss Doms e al guru dell’EDM Gow Tribe, il brano riprende il riff della celebre hit “Be my lover” dei La Bouche, successo planetario datato 1995.

Una nuova pagina, un nuovo sound: con queste premesse Achille Lauro spariglia le carte ed esce dalla sua neonata zona di comfort, per spingersi in un avventuroso e trascinante interrail nell’eurodance. Un guizzo geniale che dimostra tutta la sua versatilità, pur mantenendo fede alla propria poetica votata alla trap, con i consueti riferimenti ai dolci sofà e alle cabriolet, il tutto impreziosito da sonorità che fanno breccia nel cuore dei nostalgici della compilation verde del Festivalbar. Un potpourri di elementi che rendono “1990” un pezzo unico e originale, molto più di qualsiasi altra proposta in circolazione, perché pesca ispirazione dal passato e non dalle attuali playlist sature di roba tutta uguale. Se queste sono le premesse, anche il prossimo lavoro si preannuncia essere un cult.

E’ incredibile come una canzone riesca a contenere al suo interno ricordi e suggestioni che sembravano essersi assopiti col tempo, che conservano il gusto dei pomeriggi passati a fare zapping tra “Solletico” e “Bim Bum Bam”, a masticare Big Babol e ad utilizzare il Push Pop come burrocacao, a rammaricarci per aver trovato per l’ennesima volta la stessa sorpresa nell’ovetto Kinder, a consumare e riavvolgere con la Bic le musicassette degli 883, a scambiare tra i banchi di scuola figurine e schede telefoniche, oltre che bigliettini con su scritto “ti vuoi mettere con me?” che, assieme al Super Nintendo e al Tamagotchi, rappresentavano in quel momento storico il massimo della tecnologia, nonché un primordiale esempio di social network, prima dell’avvento dello StarTAC. Ok, sono andato un po’ fuori tema, ma chiunque abbia indossato almeno una volta nella vita un paio di Bull Boys o di Lelli Kally, sa benissimo di cosa sto parlando. Tutto questo è merito di un “darararirararara”.

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1990 | Audio

1990 | Testo

Lei vuole perdersi
lei dal cuore di pezza
dice: ”strappalo ed incendiami”
questo amore è farsi a pezzi sì
come amarsi fosse possedere te
o fosse avere
o sia ossessione per te
fosse morire con me su un cabriolet
dolci sofà
stanze di hotel

Darararirararara
darararirararara
darararirarararararira
dararirarararara
darararirarararararara
darararirarararararara
darararirarararararara
darararirarirarira

Non chiamarlo amore, non chiamarlo tradimento
non chiamarlo passione, non chiamarlo neanche sesso
non chiamarlo delusione, ma non chiamarlo sentimento
non chiamarmi amore, non ti richiamerò, prometto
non la chiamo confusione, tu non lo chiamerai sospetto
non la chiamerò oppressione, tu non lo chiamerai disprezzo
non chiamarla esitazione, non lo chiamerò dispetto
non lo chiamerò rancore, ma non chiamarlo fallimento

Darararirararara
darararirararara
darararirarararararira
dararirarararara
darararirarararararara
darararirarararararara
darararirarararararara
darararirarirarira

Io no, io no, io no
io no, io no
io non dirò che muoio, no
per lei, io no
per lei, io no
io non dirò che muoio, no

Darararirarararararara
darararirarararararara
che morirò
darararirarararararara
darararirarirarira

Sì è solo una poesia per te
non sai niente di me
l’inferno che è in me
non c’è amore, non c’è fine, non ci sei
che poi è solo quello che per te vorrei

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.