domenica 24 Novembre 2024

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Sanremo 1961-2021, la storia che si ripete sessant’anni dopo

Analisi storica sulle scelte messe in campo da Amadeus per il suo Festival all’insegna della contemporaneità

A un mese di distanza dall’annuncio del cast dei 26 big del prossimo Festival di Sanremo, con le nuove restrizioni che mettono a rischio la regolare messa in onda della manifestazione (prevista dal 2 al 6 marzo 2021), più che di incertezze e di preoccupazioni vogliamo tornare ad occuparci della musica e del grande lavoro svolto da Amadeus nel selezionare i partecipanti di questo suo secondo mandato. Dopo aver analizzato accuratamente la rosa dei cantanti (qui l’articolo di approfondimento), abbiamo cominciato a ripercorrere a ritroso la storia del Festival, alla ricerca delle precedenti evoluzioni e rivoluzioni che ne hanno contraddistinto l’ossatura così longeva. A proposito di ricambio generazionale, in realtà, c’è stato un episodio analogo nella storia, ovvero nel 1961.

Dobbiamo fare un lungo salto indietro nel tempo per immergerci in un’epoca così lontana, apparentemente diversa da quella di oggi, perchè in sessant’anni di cose ne sono successe in abbondanza, anche se determinati accadimenti sono ciclici ed è guardandoci indietro che riusciamo a comprendere realmente il presente, oltre che a prepararci al meglio per il futuro. Il direttore artistico di quell’edizione fu Ezio Radaelli, confermato anche lui per il secondo anno consecutivo, dopo il buon lavoro svolto per l’edizione del decennale. Nel selezionare il cast rivelò di aver ricevuto pressioni e raccomandazioni da generali, deputati, sottosegretari, ministri, sindaci, banchieri e chi più ne ha più ne metta.

Questo a dimostrazione che Sanremo, già all’epoca, non era considerata una semplice gara di canzonette, specie da quando un signore di nome Domenico Modugno, con la sua “Nel blu dipinto di più”, era riuscito a rompere schemi e convenzioni, ad abbattere i confini e volare in giro per il mondo con un semplice gesto: spalancando le braccia. Fino a quel momento l’habitat naturale del Festival era popolato da interpreti, massimi esecutori della melodia, mentre per la prima volta un autore si ritrovava a cantare la sua canzone, quasi per necessità visto che era stata rifiutata nientepopodimeno che da Nilla Pizzi e Claudio Villa, che incarnavano intellettualmente il concetto di ugole per antonomasia.

Con il passaggio tra i due decenni, cominciarono ad affermarsi nuove scuole e nuove correnti musicali, come quelle degli “urlatori” (ovvero una generazione di giovani interpreti che erano soliti eseguire in maniera disadorna le canzoni, rendendole proprie e personali) e dei “cantautori” (coloro i quali interpretavano in prima persona i propri brani, talvolta senza l’ausilio di eccelse doti canore). Quella del 1961, dunque, è stata un’edizione che segnò una radicale svolta per la kermesse, pensate che su quarantadue cantanti in concorso ben venticinque erano esordienti. Si assiste al debutto di personaggi che faranno grande la canzone italiana, vale a dire: Adriano Celentano, Gino Paoli, Milva, Tony Renis, Giorgio Gaber, Little Tony, Jimmy Fontana, Edoardo Vianello, Umberto Bindi, Pino Donaggio e Bruno Martino.

C’era anche Mina, che aveva già calcato il palco del Casinò l’anno prima. Insomma, una vera e propria rivoluzione musicale, anche se in realtà nessuno di questi artisti vincerà mai il Festival, né quell’anno né in quelli successivi. Stiamo parlando di autentici baluardi della musica leggera italiana che, a loro volta, hanno segnato e ispirato le generazioni successive. Cantanti nati poco prima o durante la Seconda Guerra Mondiale, figli della ricostruzione, del sogno americano, dei 45 giri di Elvis Presley, Sam Cooke, Ray Charles, James Brown, Chuck Berry e Bill Halley. Nonostante questo, non mancarono di certo le critiche, la stampa dell’epoca si scagliò contro l’organizzazione, rea di aver selezionato troppi giovani in gara, come se questo fosse un crimine, un peccato immorale.

Eppure in concorso c’erano brani innovativi, come “24mila baci” e “Le mille bolle blu”, destinati a durare nel tempo. Malgrado il successo e il positivo riscontro del pubblico, questa rivoluzione non fu compresa sul momento, tant’è che a partire dal 1962 il nuovo direttore artistico Gianni Ravera realizzò una serie di edizioni decisamente più conservatrici, classiche, profondamente “vecchio stampo”. Tutto questo pippone storico per comprendere meglio l’importanza di un cast giovane e contemporaneo come quello che sarà protagonista di Sanremo 2021. Una responsabilità che lo stesso Amadeus si è assunto per dare ulteriore fiato alla discografia, gettando basi solide per un futuro che, è vero, appare sempre più incerto, ma necessità di nuove visioni e di qualche piccola riforma.

Sanremo 2021 cast cantanti

Un altro punto in comune tra queste due annate è l’avvento del juke-box, una sorta di streaming primordiale, che aveva sottratto al monopolio radiofonico il potere di dettare tendenze. In un Paese che cambia velocemente, dunque, non basta soltanto stare dietro a ciò che funziona, assecondare il nazionalpopolare, flirtare con il mainstream, bensì è necessario cercare di anticipare le mode, creandone all’occorrenza di nuove. Il Festival di Sanremo aveva e ha questo potere, questa credibilità, questa forza. Gli anni più bui della manifestazione sono quelli in cui non si è tenuto conto del contesto esterno, di quello che stava accadendo nel mondo, mettendo in scena uno spettacolo piuttosto anacronistico, in cui il pubblico non si è potuto riconoscere.

Non si tratta di accontentare la vecchia o la nuova generazione, di andare da una parte piuttosto che dall’altra, ma di offrire un bouquet di proposte in perfetta sincronia con il nostro tempo, rendendo il linguaggio e la narrazione più simultanee possibili. La forza di Sanremo è sempre stata questa, lo sarà ancora di più quest’anno, quando molti italiani si ritroveranno al cospetto di un quantitativo ingente di sconosciuti fenomeni, che hanno meritatamente preso il posto di illustri habituè che, sempre più spesso, al Festival ci andavano per timbrare il cartellino e fare presenza. Insomma, siamo alle porte di una nuova era, figlia di un glorioso passato che bisogna ricordare… ma oltremodo superare, con il futuro che comincia sempre di più ad assomigliare per fisionomia a questo incerto e disgraziato presente.

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.